Anno 2020, sulla piattaforma Ulisse a largo dell’isola di Lampedusa, veniva accolto un nuovo “carico”
di migranti. Le vedette della marina
militare italiana con l’ausilio di un elicottero avevano scortato un barcone
con circa 150 migranti, proveniente
dalla Libia.Oramai erano pochi, se non rari, i barconi che partivano dalle
coste nordafricane. Le piattaforme militari avevano funzionato e i migranti avevano interrotto, quasi del
tutto, quel lungo viaggio che per anni li aveva condotti verso le coste della
speranza, spesso terminato tragicamente. La piattaforma Ulisse, una delle 44 piattaforme che l’Unione Europea aveva
costruito tra il 2017 e il 2018, per fronteggiare l’esodo di massa, era gestita
dal governo italiano.
Erano state posizionate
lungo la linea di confine delle acque territoriali, una ogni 20km, formando una
barriera invalicabile.
Ogni nazione,
appartenente alla comunità europea aveva costruito una o più piattaforme, ognuna
dal costo di 50 milioni di euro, per una spesa complessiva di 2 miliardi e 200
milioni. Non s’era trattato di far quadrare i conti, visto che nel corso degli
anni l’Europa aveva speso ogni anno più di 1 miliardo di euro tra prevenzione,
accoglienza e rimpatri, non considerando il grande dispiegamento di forze
militari per tutto il paese e il danno turistico che l’Italia in primis aveva subito per decenni.
L’isola di Lampedusa
fino al 2017 era diventata un centro di accoglienza permanente per migranti: rifugiati politici o
clandestini.
Facendo un breve
calcolo, nel giro di 2 anni e mezzo la spesa impiegata per costruire le
piattaforme avrebbe equiparato quella che si sarebbe spesa con il vecchio
sistema, senza contare le spese extra per fronteggiare la crescita esponenziale
delle migrazioni ed i disagi ad essa collegati. Quelle che non si sarebbero più
recuperate erano le vite di migliaia di migranti
che nel corso di un decennio non sono mai riuscite a toccare terraferma. Quei
momenti drammatici sono ormai diventati solo un ricordo e le vite perse sono
diminuite sempre più, fino ad annullarsi. All’inizio alcuni Stati dell’Unione,
specie quelli del nord Europa, non avevano visto di buon grado la costruzione
delle piattaforme ma poi pian piano hanno compreso che l’unico rimedio per
fermare quel genocidio e l’esodo di massa verso le coste europee, era proprio lo
sbarramento preventivo.
Dalle
piattaforme veniva controllato ogni movimento in mare, di giorno e di notte,
senza l’ausilio di dispendiose navi ed aerei militari che vagavano in lungo e
in largo per il mediterraneo.
Spesso, vista
l’esigua distanza tra le piattaforme, l’avvistamento avveniva anche senza l’aiuto
di strumenti elettronici ed una volta avvistato un barcone, un elicottero ed
alcune vedette lo raggiungevano, scortandolo verso la piattaforma più vicina. Qui
i migranti venivano accolti e gli scafisti arrestati.
Sulla piattaforma Ulisse il clima era disteso; i migranti
accolti venivano condotti nell’area di prima accoglienza per essere sottoposti
ai controlli medici di routine. Veniva dato loro cibo e acqua, e
successivamente condotti nella sala di identificazione. Nel giro di poche ore, venivano
separati i rifugiati dai clandestini, cioè coloro che non fornivano
documentazione attestante le proprie generalità e paese d’origine.
Quest’ultimi, in attesa della non facile e lunga identificazione venivano
smistati su altre piattaforme. Ogni piattaforma era composta da una pista per
elicotteri, un’area per la prima accoglienza, un pronto soccorso con
attrezzature ospedaliere, una sala comando, un dormitorio militare, un
dormitorio per l’accoglienza fino ad un massimo di 100 persone, una mensa, due
gruppi di servizi igienici: uno per i militari e l’altro per i migranti. Si era
messo a punto un sistema di coordinamento computerizzato che individuava in
tempo reale i posti disponibili su ogni piattaforma, in modo da smistare i
migranti, suddividendoli in gruppi di circa 70 persone. Nonostante le
piattaforme avessero una capienza totale di oltre 3000 persone, lo scopo era
quello di trattenerli il meno possibile, rispedendo a casa quelli irregolari. Dopo
circa 1 anno dalla costruzione delle piattaforme, i barconi diminuirono, perché
dai vari paesi dell’Africa e dell’Asia Orientale, era giunta voce che era stato
creato uno sbarramento nel Mediterraneo, a confine delle acque territoriali, e
raggiungere la terraferma era diventato un miraggio. Gli scafisti non avevano
più scampo, come pure i vari gruppi terroristici che dai migranti disperati
traevano il sostentamento economico per le loro organizzazioni.
L’UE e i suoi paesi
membri avevano costruito una fortezza sempre più impenetrabile e contemporaneamente
aveva intrecciato rapporti diplomatici con quei paesi che favorivano le
partenze dei barconi.
Il piano europeo per
la salvaguardia degli immigrati, aveva previsto che il sistema delle
piattaforme militari avrebbe iniziato a dare i suoi frutti nel giro di due
anni, perciò aveva pensato ad un utilizzo parallelo.
Ogni nazione accanto
all’azione preventiva militare, aveva sviluppato varie attività di ricerca
riguardanti lo studio dell’ecosistema o l’archeologia marina, l’analisi dei
flussi ed il controllo delle merci illegali attraverso le navi mercantili. Le
piattaforme erano diventate una sorta di dogana marina dell’Unione Europea ma
allo stesso tempo fungevano da collegamento commerciale e diplomatico con i
paesi del Nord Europa. Non tutto era stato risolto perché nei paesi di origine
dei migranti, molto spesso si fuggiva per miseria ma l’Europa decise di
risolvere un problema alla volta e senza spargimenti di sangue.